Pascal Manoukian torna in Italia! Leggiamo un estratto di Derive
Pubblichiamo un estratto di Derive di Pascal Manoukian nella traduzione italiana di Francesca Bononi. Il libro è disponibile in tutte le librerie d’Italia.
Dopo aver partecipato al Festival delle Letterature Migranti di Palermo e aver fatto tappa alla Libreria Vicolo stretto di Catania, Pascal Manoukian torna in Italia per un tour di tre date: l’8 dicembre sarà a Lucera alla Libreria Kublai, il 9 alla Libreria Io Ci Sto di Napoli, il 10 arriverà a Roma per l’incontro a Più libri più liberi.
Nell’attesa di incontrarlo, buona lettura!
Maryanna Payot, l’Express
«Una lettura obbligata per chi non realizza quanto siano scarse le alternative all’emigrazione».
Giulia Usai, Flanerì
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Come raccontare quei nove mesi di viaggio, le ferite incurabili, le umiliazioni, quel mondo pieno di viltà, violenza, la mancanza di umanità, la negazione della vita… Come raccontare l’universo parallelo nel quale transitano ogni giorno convogli di fantasmi pronti a farsi picchiare, violentare, incatenare, raggirare, assetare, pur di fare un passo in avanti verso un campo profughi o un centro di permanenza temporanea. La miseria e la guerra sono una manna inesauribile per mafiosi, jihadisti, ribelli e trafficanti di tutti i tipi. Si passano i clandestini da una grotta a un capannone, da un sentiero sassoso a un’oasi sperduta, da un camion sovraccarico a una nave pattumiera. Ad ogni spostamento gli succhiano il sangue, quel tanto che basta perché possano ripartire e farsi salassare di nuovo. I viaggiatori clandestini finiscono quasi tutti svuotati, anemici, esangui, abbandonati di fronte al mare, alla mercé degli ennesimi negrieri che li metteranno sotto come schiavi per fargli pagare l’ultimo tratto del loro viaggio della morte. È il momento peggiore, quello che fa perdere le illusioni residue – e spesso anche la vita.
Senza saperlo, Assan e Iman erano le prime gocce di un flusso inesauribile di disperazione e miseria. I primi protagonisti di un traffico che nei dieci anni a venire avrebbe fatto venti volte più morti di tutti gli incidenti aerei, un giro d’affari di miliardi di dollari che avrebbe arricchito profeti e guru della peggior risma, e rafforzato il potere dei più estremisti.
Questi nuovi negrieri avrebbero rimuginato sulle loro frustrazioni rintanati dentro a grotte nelle quali avrebbero pianificato la loro vendetta, creato reti, fondato cellule e inventato nomi da rockstar che presto sarebbero stati sulla bocca di tutti i diseredati e sulle prime pagine dei giornali del mondo intero: Boko Haram, Aqmi, Mujao, Ansar Dine, Daesh…
Quando però Assan e Iman avevano attraversato i deserti, nessuno poteva immaginare ciò che rappresentavano quegli ascessi sul punto di scoppiare alle porte dell’Europa. Bombe a orologeria pronte a esplodere da un secondo all’altro e a intossicare la vita di chi pensava di essere al riparo da tanto marciume, dietro a ridicole frontiere rinforzate a ogni nuovo assalto da inutile filo spinato.
Come raccontare in mezzo a una simile barbarie i momenti di grazia, gli slanci di dignità, i piccoli miracoli, gli atti di coraggio, i raggi di sole che rendono più sopportabile l’inferno? Una mela divisa tra cinquanta mani fino all’ultimo seme. Una raccolta di gocce d’acqua improvvisata in silenzio per inumidire le labbra di un bambino. Un malato che cede il proprio posto all’ombra a chi è più malato di lui. Una preghiera concessa da un carnefice alla sua vittima per salvare l’anima del condannato.
Ogni gesto di solidarietà o di resistenza, anche il più piccolo, si ripercuote immediatamente per il convoglio e restituisce la forza di andare avanti a uomini pieni di debiti che hanno come unica speranza quella di lavorare gratis in fabbriche e cantieri per mesi o anni. Assan aveva il sospetto che, pur di evitare la paralisi del convoglio, perfino i carcerieri ricorressero a questo stratagemma. Bisognava far muovere la colonna a qualsiasi costo, trasportare la merce fino alle navi, consegnare quanti più uomini possibile in condizione di salire a bordo e farsi pagare a cottimo da quelli che noleggiavano le barche.
A volte era meglio lasciare che i più deboli si riposassero per un giorno e riprendessero la loro marcia forzata l’indomani. Altre volte era meglio abbandonare la merce sul posto, in pieno deserto, e andare a cercarne altra. Erano faccende da bottegai: bisognava saper selezionare la merce e sistemarla per bene nelle cassette. Non scegliere frutti troppo acerbi che non avrebbero avuto nessuna possibilità di maturare, ma nemmeno frutti troppo maturi che non avrebbero retto il viaggio e, marcendo, avrebbero rischiato di guastare il resto della mercanzia. Quello era l’unico rischio dei trasportatori. Per il resto non avevano nulla da temere. I clandestini erano docili come ortaggi, dipendenti in tutto e per tutto dai passeur, terrorizzati all’idea di essere abbandonati o arrestati, incapaci di orientarsi o di sopravvivere da soli. Il carico ideale, peccato la loro deteriorabilità.
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