Zitto e muori

Il polar della banlieue

 

Con Zitto e muori (Tais-toi et meurs in originale), terzo volume della collana B-Polar di 66thand2nd, il congolese Alain Mabanckou compie la sua prima incursione nel romanzo criminale, almeno dai tempi di African Psycho. In Francia Zitto e muori è uscito per le Éditions La Branche, all’interno della collana Vendredi 13 – diretta da Patrick Raynal, ex Série Noire, nientemeno –, collezione costruita programmaticamente intorno al classico tema del «giorno fatale», in cui la vita di qualcuno (solitamente il protagonista) è sconvolta per sempre da un evento imprevedibile (solitamente di natura delittuosa). Proprio come nella migliore tradizione del noir cinematografico, al cui catalogo ciascuno di questi titoli sembra destinato presto o tardi ad aggiungersi.

alain_mabanckou_extralibris

Un ritratto di Alain Mabanckou

In tutti i volumi della collana Vendredi 13, però, l’intrigo è solo il punto di partenza per esplorare l’universo narrativo dell’autore. Nel polar (policier+noir) di Mabanckou, dove l’invenzione sconfina nell’autofiction (intessuta di citazioni letterarie e corroborata dal solito disincantato umorismo), il mondo che prende forma pagina dopo pagina è quello che conosciamo bene dagli altri lavori dello scrittore congolese: il divertente e colorato sottobosco parigino, popolato dalle molteplici etnie africane che si sono spartite il territorio della capitale – maliani, maghrebini, ivoriani, una grottesca galleria si personaggi composta da falsari di passaporti, permessi di soggiorno e biglietti della metropolitana, geniali maestri dell’arrangiarsi che si muovono tra mercati di quartiere, vetrine di lusso, locali equivoci e festini notturni. Parigi è servita al lettore attraverso le sordide camere d’albergo, i ristoranti, i sapori e gli odori che costituiscono la quotidianità degli espatriati africani, conoscitori della banlieue multietnica come dei quartieri più esclusivi della metropoli.

connivences_scarpe_extralibris_21ott13

La vetrina di Connivences, a Parigi. Nel box: tre modelli di scarpe del perfetto sapeur

È qui, nella Parigi «bazariana» di Mabanckou, tra lo storico negozio d’abbigliamento Connivences in rue de Panama, i sovraffollati appartamenti di Montparnasse e Saint-Denis, le fermate della metro di Poissonnière e Château Rouge, le pregiate boutique di rue du Fauburg Saint-Honoré, che si aggirano con disinvolta arroganza, a caccia di affari e belle donne, i «sapeur», i dandy neri dalla sgargiante eleganza, sorta di flâneur postmoderni, «cultori della religione del vestire» che dissertano di scarpe firmate e nodi alla cravatta, in netto contrasto con l’ambiente in cui vivono (che sia la baraccopoli d’origine o gli «immondezzai» della banlieue). Quello della Sape – la Société des Ambianceurs et des Personnes Élégantes – è un fenomeno sociale che affonda le sue radici nel Congo dell’epoca coloniale, propagatosi poi nel mondo della moda e della musica a seguito dell’indipendenza del paese, conquistata negli anni Sessanta. «La Sape è un mondo a parte» ha scritto Paul Goodwin, curatore della Tate Gallery di Londra, nella sua introduzione al bel libro Gentlemen of Bacongo, realizzato dal fotografo italiano Daniele Tamagni. «O meglio, un mondo all’interno di un altro mondo all’interno delle città, anzi di molte città» – visto che il fenomeno oggi è diffuso sia a livello locale (i quartieri Bacongo a Brazzaville e Matonge a Kinshasa) sia a livello internazionale (con le enclaves di Parigi, Bruxelles e Londra). A questa realtà chiassosa e stupefacente Mabanckou ha già dedicato pagine esilaranti nel suo primo romanzo edito da 66thand2nd, Black Bazar, da cui prende il nome sia il blog dell’autore sia il gruppo musicale che incarna lo spirito dei sapeur parigini.

bacongo_paul-smith

A sinistra: un’immagine tratta da «Gentlemen of Bacongo» di Daniele Tamagni, vincitore del Icp Infinity Award for Fashion. A destra: un modello firmato dallo stilista inglese Paul Smith (2009), ispirato alle foto di Tamagni

È tra loro che sbarca il giovane congolese Julien Makambo, proveniente da Pointe-Noire e provvisto di un passaporto falso che reca il nome di José Montfort: è questa la sua nuova identità, con cui dovrà barcamenarsi tra le insidie e i misteri della «giungla parigina», protetto solo dal suo mentore Pedro Bolowa, il connazionale che l’ha chiamato e fatto arrivare in Europa. Ma Makambo in lingala significa «guai»… Così un giorno, anzi una notte – un venerdì 13, per la precisione – il giovane e inesperto sapeur, in missione per conto di Pedro, finisce per trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato: nel punto esatto dove si sfracella una ragazza bianca gettata dalla finestra di un appartamento. Il cellulare di qualcuno riprende l’immagine di un nero tutto in ghingheri, un completo verde menta accanto a una pozza di sangue e una chioma di capelli biondi. E Julien, alias José – «un Candido moderno», come suggerisce «Froggy’s Delight» –, è costretto a prendere la più difficile delle decisioni: salvare la pelle o sacrificarsi per la propria comunità, che gli ha regalato una nuova vita, un nuovo nome, un futuro migliore?

 
Karashika, l’ultima produzione dei Black Bazar

Di Alain Mabanckou, una delle voci più interessanti dell’Africa francofona, 66thand2nd pubblicherà nel 2014 anche Le luci di Pointe-Noire, con cui l’autore ritorna nei luoghi della sua infanzia dopo oltre vent’anni di assenza. Seguiranno i titoli più importanti dell’opera narrativa dello scrittore congolese, tra cui il suo capolavoro Pezzi di vetro e l’ultimo libro Peperoncino.

(Michele Martino, ottobre 2013)