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Dov’eri il 25 gennaio del 1995, United contro Crystal Palace, quando Cantona prese a calci uno spettatore?

In attesa di incontrare Rodge Glass a Libri Come (sabato 15 marzo, alle ore 12, all’Officina 1) e, il giorno dopo, al Sally Brown Rude Pub di via degli Etruschi, ospite dell’Atletico San Lorenzo, anticipiamo una delle pagine più divertenti di Voglio la testa di Ryan Giggs, il romanzo (in libreria dal 20 marzo) che narra la tragicomica carriera del piccolo Mikey Wilson e quella straordinaria del suo idolo Ryan Giggs.
La pagina in questione, però, è dedicata a un’altra icona del Manchester United e del calcio mondiale: Éric «The King» Cantona. E, in particolare, a quella sera del 25 gennaio del 1995 quando, vittima di un raptus di follia, Cantona tentò con un colpo di kung-fu di staccare la testa a un tifoso del Cristal Palace, Matthew Simmons, colpevole di averlo insultato.

 

Rimarrà nella storia la frase pronunciata da Cantona durante una conferenza stampa convocata a seguito della conversione della condanna inflittagli in primo grado (14 giorni di prigione) in 120 ore di lavori di utilità sociale:

 «Quando i gabbiani seguono il peschereccio,
è perché pensano che verranno gettate in mare delle sardine.
Grazie molte».

 

A chi gli chiese di spiegare parole così enigmatiche, Cantona rispose: «Ho provato a dire qualcosa che non volesse dire niente. Ma dopo è diventata una frase molto famosa e mi sono divertito a leggere le interpretazioni delle gente».
Ma Daniele Manusia, autore del bel libro Cantona. Com’è diventato leggenda (Add editore, 2013), non crede molto all’ingenuità del fuoriclasse transalpino: «La metafora appare evidente: i gabbiani sono i giornalisti, lui il peschereccio, le sardine i gossip, insomma un modo originale per dare degli avvoltoi».
Figuriamoci se il giovane Mikey Wilson poteva rimanere insensibile a un simile genio. E chissà quanto avrebbe dato, nei giorni successivi al raptus di Cantona, per avere risposta a quell’unica, inevitabile domanda: «Che cosa mai avrà detto Matthew Simmons a Cantona?».

*

Da Voglio la testa di Ryan Giggs, in libreria dal 20 marzo

Cantona: il calciatore filosofo, il ribelle, l’eroe di culto che dimostrava che non tutti i giocatori sono grossi pezzi di merda buoni solo per una cosa. Col suo colletto rialzato faceva tutti quei gol e poi allargava le braccia per accogliere i suoi ragazzi e festeggiare con baci e abbracci. Avrebbe dovuto essere lui il mio eroe. Una volta Guy mi disse Non capisco. Perché non veneri questo tizio? Per poco non glielo dissi, ma Guy come poteva capire? Aveva appena assunto altre tre persone – l’espansione dell’Impero Wilson, la chiamava – e lui e Sally parlavano di bambini. Di quanti averne. Di come li avrebbero chiamati e di come avrebbero dato ai loro bambini la migliore esperienza uterina possibile. Io, nel frattempo, ero lontano anni luce. Non riuscivo a venerare nessuno. Quando quella sera d’inverno mi sistemai sul mio sgabello fortunato a vedere United contro Palace, in incognito, rannicchiato in un angolo, sperando che nessuno mi riconoscesse, mi ricordai di quando avevo parlato con Cantona durante un allenamento. Aveva sorriso e mi aveva detto soltanto Va tutto bene, Mike. Io gli avevo risposto Come? C’è qualche problema? e lui aveva sorriso di nuovo. Dicono che fosse pieno di rabbia, anche ai tempi dell’esordio. Per questo aveva lasciato la Francia. Quando la rabbia ce l’hai dentro, ci resta per sempre.
La gente se n’è dimenticata, ma per prima cosa fu espulso. Ce n’era abbastanza per una serie di brutti titoli il giorno seguente e forse per una multa, oltre alla squalifica. Nel momento in cui accadde ero schiacciato tra un paio di centinaia di tifosi ubriachi a dare del SEGAIOLO all’arbitro. Éric andò verso la linea laterale, fiero, indomito. Buttai là due chiacchiere con alcuni clienti fissi e loro erano convinti che sarebbe andata bene. Anche se eravamo rimasti in dieci. In realtà, forse PROPRIO perché eravamo rimasti in dieci, e quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare, no? Cercai di convincermi che essere lì, in quel momento, a guardare la partita in quel vecchio edificio scalcinato con le sedie intrise di birra e i pavimenti del bagno bagnati di piscio, fosse ancora meglio che essere in campo. Mentre Cantona lasciava il terreno di gioco diretto verso il tunnel, mi girai sullo sgabello e ordinai una pinta, e poi un’altra, per buon augurio. A volte, pensai, potevo far succedere le cose peggiori.
Quando mi voltai di nuovo tutto il pub era ammutolito, sotto shock, mentre guardavano le immagini sgranate di Cantona che si lanciava come una furia su un tifoso. Ancora e ancora. Prima in diretta. Poi al rallentatore. Poi ancora più al rallentatore, con un primo piano della vittima in una smorfia di dolore mentre quelli che aveva intorno si allargavano. I commentatori dalla Grecia o dalla Turchia o sa-il-cazzo-da-dove erano così scioccati che si scordarono di parlare, e quando gli tornò in mente non trovarono le parole per spiegare quello che stava succedendo. Nessuno aveva mai visto niente del genere. Nel frattempo arrivò di corsa Paul Ince, prima coi pugni che col cervello, e poi gli steward e la polizia. Cantona era sparito sotto una ressa di funzionari e tifosi. La temperatura nel pub precipitò. Un paio di avventori dissero che era un eroe, ma la maggior parte pensava che si fosse comportato da idiota. Aveva buttato via il titolo per niente. E adesso, chi avrebbe guidato la squadra? Un tizio disse che per la vergogna non avrebbe mai più guardato lo United, anche se nessuno ci credette. Finii le mie birre in silenzio mentre tutti intorno a me cominciavano a litigare e a parlare di complotto per spiegare quello che era appena successo. Perché lo aveva fatto? Che cosa lo aveva fatto arrabbiare così? Alcuni sostenevano di saper leggere le labbra e tirarono fuori le stronzate più assurde.
Il tizio aveva detto a Éric di andare affanculo in Francia.
Oppure il tizio aveva detto a Éric che la sera prima si era scopato sua madre e che lei era bravissima a succhiare il cazzo.
Oppure il tizio aveva detto a Éric che era grasso.
Oppure Éric era sempre stato incasinato nella testa, e i dirigenti dello United l’avevano tenuto nascosto per anni, ma stavolta era crollato, e in pubblico.
Oppure Éric aveva riconosciuto il tizio, che in realtà era francese, i due avevano fatto a pugni in un bar nel 1989 e Éric aveva voluto finire il lavoro.
Oppure (e Dio solo sa da dove venisse questa) Éric si stava vendicando sui tifosi del Crystal Palace perché il suo bisnonno era stato ucciso da tre skinhead di quelle parti nel 1929 e lui aveva promesso al vecchio sul letto di morte che la famiglia Cantona avrebbe avuto la sua vendetta.
Quelle stronzate rimasero sospese per aria, poi si riversarono fuori dalla porta e si sparsero per la città.

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