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Sogni di Mevlidò di Antoine Volodine. Un estratto

Pubblichiamo un estratto di Sogni di Mevlidò di Antoine Volodine, nella traduzione italiana di Anna D’Elia. Ricordiamo che il volume è appena uscito ed è disponibile in tutte le librerie italiane. Buona lettura!

Mevlido_photo

 

1.

Mevlidò sollevò una seconda volta il mattone e Berberoian, che detestava l’idea che un inferiore lo picchiasse sulla testa, si affrettò a riprendere la propria autocritica.«Sì» ammise. «Peccatucci. Fino ad ora ho ammesso solo roba così, peccatucci. Ma adesso… Adesso sarò…».Si schiarì la voce e raddrizzò leggermente la schiena. «Adesso sarò sincero».
Benché un velo di sangue gli scendesse giù sugli occhi, riusciva comunque a scorgere, oltre la bruma rossastra, i rappresentanti delle masse, intenti ad assistere alla sua umiliazione e ad annoiarsi. Le sue ammissioni non avevano nulla di originale, e quanto alla violenza della scena, questa non aveva niente in sé che potesse smuovere dei poliziotti abituati a partecipare ai pestaggi. Mevlidò, d’altronde, non approfittava della situazione. Colpiva con criterio, continuando a trattare Berberoian come un proprio superiore nella scala gerarchica, e se è vero che gli aveva scorticato il cranio, l’aveva fatto solo dopo aver attutito il colpo. Il funzionario preposto alla questioni ideologiche, Balkachine, non era più lì a controllare la ferocia delle botte, sicché l’interrogatorio si svolgeva, alla fin fine, senza eccessiva brutalità. In ragione del grado ricoperto dall’accusato, che era pur sempre un commissario, Balkachine era venuto fin laggiù, ma solo per eclissarsi nel giro di un quarto d’ora, dopo una chiusa sulla morale proletaria soporifera per tutti. Era una seduta di autocritica così, tirata via, una tra le tante, un momento di puro teatro che un tempo aveva magari avuto la sua ragion d’essere, due o trecento anni prima, all’epoca in cui le guerre contro i ricchi non erano state ancora tutte perse, ma che adesso, alla fine della storia – per non dire alla fine di ogni cosa –, era degenerata in pura idiozia rituale.

«Sono consapevole della vastità della mia abiezione… Non merito che mi si affidino delle responsabilità» disse Berberoian in un sussurro.In realtà, sapeva bene che, una volta incassata la profonda riprovazione dell’assemblea, tutto sarebbe tornato come prima. Avrebbe applicato del mercurocromo sulla ferita e sarebbe tornato a sedersi dietro la sua scrivania di commissario, magari per fumarsi una sigaretta in compagnia di Mevlidò, ed entrambi si sarebbero nuovamente concentrati sui fascicoli di casi penali, lasciati aperti sin dalla mattina. Nulla sarebbe cambiato nella società e nemmeno nelle abitudini della polizia. Si sarebbe soltanto andati, tutti quanti insieme, un po’ più in là nel processo di stravolgimento dei valori della rivoluzione. Si sarebbe compiuto di malavoglia un ulteriore, piccolo passo verso la barbarie e la morte di ogni speranza.«Ho tradito la fiducia della classe operaia» ansimò nuovamente Berberoian.Ebbe un singulto.

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