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Su Michael Jackson di Margo Jefferson. Un estratto

Nell’introduzione a Su Michael Jackson, Margo Jefferson scrive: «per lui non esisteva alcuna forma di musica e danza popolare che potesse essere considerata aliena». Michael Jackson è stato un talento capace fin da bambino di mescolare generi e stili, di reinventarsi, il suo modo di ballare, racconta Jefferson, «rivela un contenuto emotivo che non trova espressione altrove». Nell’estratto che pubblichiamo, l’autrice vincitrice del Premio Pulitzer analizza una delle performance più celebri e magnetiche del Re del Pop: Billie Jean eseguita allo show Motown 25 nel 1983.

Nell’augurarvi buona lettura, ricordiamo che Su Michael Jackson di Margo Jefferson è disponibile in tutte le librerie italiane nella traduzione di Sara Antonelli.

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Michael Jackson ha raggiunto la fama mondiale perché era un talento di prima classe. La performance di Billie Jean del 1983, durante lo show televisivo Motown 25: Yesterday, Today, Forever ci ha permesso di valutare Michael Jackson rispetto alla sua infanzia nello show business. Gli altri performer stavano invecchiando, avevano l’aria di gente sopravvissuta a malapena a problemi di alcol e droga, alle faide, a vecchie e nuove malattie e ai numerosi passi falsi della loro carriera. Michael sembrava una creatura incorrotta e totalmente immune a quel passato.

Mentre sotto partiva la linea di basso di Billie Jean, Michael era fermo di profilo: gambe divaricate, ginocchia piegate in un demi-plié, una mano che sfiorava appena il cappello di feltro. Un ballerino sprezzante con dei pantaloni a saltafossi. Otto affondi pelvici l’hanno trasformato in uno sprezzante soul man. Un calcio veloce e un colpo secco alla coscia su entrambi i lati, poi si è girato verso il pubblico e – precisamente sul tempo di battuta – ha lanciato il cappello verso le quinte. È un uomo che canta e balla. Poi ha imitato un ragazzaccio degli anni Cinquanta, dandosi una veloce pettinata ai capelli.

Gli elementi del personaggio che avremmo conosciuto sono tutti davanti a noi. Il guardaroba che coniugava la severità (pantaloni neri, cappello di feltro, mocassini) ai brillantini, ai lustrini, all’eccentricità (giubbino e camicia, calzini bianchi e un unico guanto bianco); la passione che entusiasmava il pubblico, e che tuttavia era percepita come qualcosa di privato e misterioso; la profonda teatralità e il suo modo di trasformare il più piccolo gesto in lunghe sequenze di movimento. Tutti i coreografi hanno passi e combinazioni che li caratterizzano. Questa era l’essenza del Jackson’s style: i piedi ad angolo e le ginocchia incrociate del funky chicken (spavaldo) e del charleston (più ricercato); le corse e le andature impettite; i calci avvitati in avanti (veloci come quelli del judo); le piroette, il moonwalk, e quel momento improvviso in cui si accuccia e, invece di cadere sulle ginocchia, si solleva sulle punte. Un momento da danza classica. E una piccola variazione su quel passo sposta la tensione. Quando si solleva con i piedi e le gambe insieme, sembra fortissimo. Con le ginocchia unite e i piedi distanti sembra vulnerabile, come ferito.

 

Billie Jean è una canzone sull’ansia e sul senso di colpa, sul desiderio e sul risentimento; sul fare un bambino ed essere ancora un bambino. Nel bridge, quando canta di come la madre l’abbia messo in guardia, «Be careful of what you do / ’cause the lie becomes the truth», salta per tre volte verso l’alto. Il genio nella bottiglia è un uomo giovane che non riesce a controllare la propria energia. Nel bridge ripetuto, quando ricorda «the smell of sweet perfume / She called me to her room», salta da un piede all’altro con le ginocchia alzate, come un ragazzino che fa i capricci.

E poi, quando canta, le sue braccia parlano: braccia distese, mani apertamente supplicanti (da musical melodrammatico); poi un pugno enfatico o un’improvvisa rotazione del polso; il dito indice che trafigge l’aria (una spavalderia da Chitlin’ Circuit). Quando canta «his eyes were like mine», per parlare del bambino misterioso, si passa una mano sul viso; intravediamo i suoi occhi tondi e scuri attraverso la mano spalancata (pantomima della Motown). Chiude al centro del palco, braccio destro in aria, stanco, ma esultante. Ha creato lo show, è lo show.

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