La Locomotiva Umana. Un estratto da Emil Zátopek di Rick Broadbent
Pubblichiamo un estratto in italiano e in lingua originale dall’inglese Emil Zátopek di Rick Broadbent.
Soprannominato «la Locomotiva umana» perché ansimava durante le corse, Emil Zátopek si presentò al mondo ai Giochi di Londra del 1948, vincendo a sorpresa l’oro nei 10.000. Quattro anni più tardi, dopo aver inanellato una serie impressionante di primati nel fondo e nel mezzofondo, alle Olimpiadi di Helsinki Zátopek fu il primo atleta nella storia a presentarsi al via di 5000, 10.000 e maratona, stabilendo il nuovo record olimpico in tutte e tre le gare. Ma le imprese sportive impallidiscono davanti alle vicende dell’uomo. Rick Broadbent racconta una straziante storia di sopravvivenza: l’ascesa, la caduta e la riabilitazione dell’atleta che «Runner’s World» ha eletto «il più grande corridore di tutti i tempi».
Emil Zátopek è disponibile in libreria e sul nostro sito dal 31 maggio, tradotto da Andrea Marti e Stefano Tettamanti. Buona lettura da 66thand2nd!
Niente, in Emil il Fifone, lasciava presagire quello che sarebbe successo. Suo padre lo presentava agli ospiti come «l’ultimo arrivato», anche se un altro fratello, Jirik, era nato dopo di lui. Emil prendeva parte ad allenamenti di atletica in cui fare l’appello era già di per sé fonte di gran divertimento.
«Zátopek?».
«Presente».
«Zátopek piccolo?».
«Presente».
«Zátopek ancora più piccolo?».
«Presente».
«Zátopek l’ultimo?».
«Presente» rispondeva Emil, sebbene Franta, un altro fratello, non mancasse mai di rammentare al compagno Hornicek che a casa ci fosse un altro membro del clan.
«Allora portate anche lui, più siamo, meglio è» ribatteva l’allenatore. Fu così che Jirik incominciò ad allenarsi prima ancora di andare a scuola.
Era l’epoca del Sokol, un’organizzazione sportiva (il nome significa «falcone») istituita da uno storico dell’arte ceco che aveva combattuto per le strade di Praga durante la rivoluzione del 1848 e si vantava di essersi preso una pallottola in una rotula. Le associazioni che aderivano al Sokol erano perlopiù centri sportivi e ginnici intesi alla promozione della democrazia e del nazionalismo ceco. Organizzavano gare di massa note con il nome di slety e, nonostante fossero state sciolte nel corso della Prima guerra mondiale, quando Emil Zátopek era un adolescente contavano all’incirca settecentomila iscritti. Ironia della sorte, più che sulla ripetizione disciplinata che era segno distintivo della sua versione tedesca, il Sokol ceco insisteva sull’eleganza e sul decoro, due qualità decisamente carenti nello stile di corsa di Zátopek. Come ebbe a dire Red Smith, il grande giornalista sportivo americano: «Correva come se avesse un cappio al collo, lo spettacolo più spaventoso dai tempi di Frankenstein, sembrava sempre sul punto di strangolarsi».
Zátopek e i suoi fratelli – uno solo dei quali sarebbe vissuto oltre il suo diciottesimo compleanno, in quell’epoca tremenda di elevata mortalità – si meravigliavano dei grandi artisti circensi del Sokol e tentavano di copiarne i movimenti elaborati, spesso nei fiumi o nei torrenti, in modo che l’acqua attutisse le loro cadute. A soli otto anni, però, Zátopek fu costretto a passare un mese in ospedale per una difficile operazione all’intestino. Quando venne dimesso tornò a dedicarsi al calcio, e in seguito avrebbe ammesso che le sue prestazioni altamente energetiche nascevano dal bisogno di dimostrarsi in perfetta forma fisica. «Coltivavo certe qualità che mi sarebbero state utili per le gare future,» raccontò, ma se i suoi com- pagni di squadra dicevano: «Emil è ovunque», mitigavano poi il loro apprezzamento per la sua ubiquità riconoscendo che non era un calciatore. «Per via di tutto quel correre mi misero in attacco, nella squadra della mia classe» disse. «Correvo come un ossesso per tutta la partita, ma non ho mai segnato neanche un gol».
***
In his early years Emil the Wimp showed few signs of what lay ahead. His father would introduce him to guests as ‘the last arrival’, although another brother, Jirik, was later born. He attended athletics sessions where the register would be a source of rich amusement.
‘Zátopek?’
‘Present.’
‘Zátopek younger?’
‘Present.’
‘Zátopek younger still.’
‘Present.’
‘Zátopek the youngest.’
‘Present,’ Emil replied, although Franta, another brother, reminded Comrade Hornicek that the clan had another member at home.
‘Then bring him too – the more the merrier,’ the trainer replied. And so Jirik began training before he went to school. This was the time of Sokol. Meaning ‘Falcon’, Sokol was a sports organisation set up by a Czech art historian who had fought on the Prague streets during the 1848 revolution and boasted of taking a bullet in his cap. These were largely sport and gymnastic groups designed to promote democracy and Czech nationalism. They would hold mass competitions known as slets and, despite being disbanded during the First World War, had close to 700,000 members by the time Emil Zátopek was a teenager. Ironically, the Czech Sokol system put emphasis on grace and decoration, rather than the disciplined repetition that was the trademark of the German version – qualities that would be distinctly lacking from the running style of Zátopek. As Red Smith, the great American sportswriter, would put it, ‘He ran like a man with his noose around his neck, the most frightful horror spectacle since Frankenstein, on the verge of strangulation.’
Zátopek and his brothers – only one of whom would survive until his 18th birthday in those hard times of high mortality rates – would marvel at the great circus artists of Sokol and would try to copy their elaborate movements, often in rivers and streams, the water cushioning their falls. However, when he was only eight, Zátopek had to spend a month in hospital after a serious bowel operation. When he emerged he threw himself back into football, later admitting that his high-energy performances were forged from a need to prove himself fit and able. ‘I cultivated some quality good for future competitions,’ he said, but if team-mates would say, ‘Emil is everywhere,’ they would temper their appreciation of his ubiquity with an acknowledgment that he was no footballer. ‘Because of all that running around they put me in attack in my class team,’ he said. ‘I ran obstinately the whole match but I never scored a goal.’
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