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It’s gotta be the shoes


Trent’anni fa, mentre Michael Jordan era impegnato a disputare la sua prima stagione da professionista, nasceva la leggenda delle Nike Air Jordan – nere e rosse come i colori dei Bulls, e dunque bandite dalla Nba perché non conformi ai rigidi regolamenti della lega. (Anche se gira voce che il commissioner David Stern, quando comunicò al vicepresidente della Nike Rob Strasser dei provvedimenti legali, gli abbia anche chiesto un favore personale: «Mio figlio mi dà dello sfigato. Mi puoi procurare un paio di scarpe autografate per lui?»).

Poco dopo sarebbe nato anche il celebre logo, Jumpman, ideato dal primo designer del brand Jordan, Peter Moore, ispirandosi a una foto di Jacobus Rentmeester che ritraeva Jordan in uno spettacolare e suggestivo volo a canestro. Lo scatto originale, effettuato con una storica Hasselblad, era apparso l’estate precedente in doppia pagina su un numero di «Life» dedicato agli olimpionici americani del 1984.

A quanto si sa, per l’utilizzo di quell’immagine la Nike pagò a Rentmeester solo 150 dollari. Quelle scarpe, insieme al logo, segnarono l’inizio dell’impero economico di MJ e della Nike (come spiega bene questo articolo di «Forbes»).

Lo scatto originale di Jacobus Rentmeester apparso sul «Life»

Lo scatto originale di Jacobus Rentmeester apparso sul «Life»

La foto di Jordan usata per il logo Jumpman

La foto di Jordan usata per il logo Jumpman

 

Ma la vera intuizione alla base del matrimonio tra la Nike e Jordan, che da ragazzo era un fan dell’Adidas, appartiene al genio di uno scaltro italoamericano, Sonny Vaccaro. Fu lui, dopo aver visto quel diciannovenne di Wilmington, North Carolina, segnare il canestro decisvo contro Georgetown nelle finali Ncaa del 1982, a New Orleans, a proporre ai dirigenti della Nike di puntare tutto il budget dell’azienda sulla carriera del ragazzo.  Anche se non aveva ancora giocato un minuto tra i professionisti.

Come racconta Roland Lazenby nel suo Michael Jordan, la vita: «Gli Stati Uniti erano [già] stati testimoni dell’ascesa di icone sportive di colore – da Jackie Robinson a Willie Mays, da Bill Russell a Wilt Chamberlain, da Jim Brown a Muhammad Ali, e tutti si erano fatti strada raccogliendo il guanto di sfida lanciato dalle lotte per i diritti civili. Ma mai qualcuno aveva pensato che uno di quegli uomini fosse un candidato credibile al ruolo di colonna portante di una campagna pubblicitaria come quella che Nike aveva in mente per il giovane Michael Jordan».

(Michele Martino)

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