Io, Charlotte Rampling: né una biografia, né un canto, né un tradimento, a malapena un romanzo — forse una ballata, canticchiata come la ballata delle dame del tempo che fu. Tu sei una strana dama, oggi come allora: ti vedo in fotografia, altezzosa, spesso nuda, a vent’anni, in minigonna e calze nere, leggera e astratta. Con quel gran sorriso sfuggente.
Tu rendi il tuo sguardo trasparente. Immergiti in me e non vedrai quel che vedo io.
È tutto vero nelle nostre pagine. O meglio: è tutto avvenuto. Le parole, le immagini, i ricordi. A volte ho cambiato i vestiti. Ho messo un po’ di colore al silenzio, e qualche parola, qua e là.
Sei nuda ma non tremi nelle gallerie del Louvre dove La Tour e Fra Filippo Lippi si abbandonano al sogno. La Gioconda è nella teca blindata,
e ti osserva. Qui non c’è penombra. Tutto è ben nascosto nella luce abbagliante del fotografo. Allora sorridi: dove sono i custodi, dove sono le opere, dove gli abiti di seta, le toghe e i gioielli, i simboli, i crocifissi, le cuffie, e la tanto seria storia dell’arte…
La madonna sono io.
Vieni a prendermi se ci riesci.
Guardo nello specchio. Guardo una donna che non riconosco. Un volto mosaico, pezzi autonomi scelti a caso. Diverse espressioni selezionate, riorganizzate per formare un volto.
Essere Charlotte Rampling non è facile. Parlare non è facile. Scrivere non viene da sé.
Allora bisogna incontrare uno scrittore, un dolce vampiro: animale tenace, a quattro mani e due teste. Non inventa niente. Non ruba. Parla poco. Ascolta. E coglie chi non si lascia andare.