Intervista a Anthony Cartwright
Gabriele Santoro intervista Anthony Cartwright, sul calcio, la politica e la china che stanno prendendo le nostre società – insomma, i temi caldi di Heartland, su cui è appena uscita anche una recensione su «Panorama».
Anthony Cartwright, quali potenzialità intravede nei moltissimi progetti di calcio popolare che si stanno radicando in Europa?
«Il calcio è ancora lo sport del popolo. Ed è importante celebrare qualsiasi progetto, che difenda questa idea. Mediante una squadra di quartiere si aggregano le persone; si riunisce la comunità. Lo sport, e il calcio in particolare, offre molti elementi di condivisione. In Heartland il calcio è una manifestazione della divisione sociale».
Il calcio milionario, spesso macchiato da scandali, e dipendente dagli introiti televisivi, che cosa è diventato? Può essere ancora definito una passione sociale, in grado di interpretare i bisogni ed esprimere le pulsioni positive della società?
«Ai massimi livelli, il calcio è una fortezza fondata sulla sabbia, sia da un punto di vista economico sia da quello morale. Ciò che colpisce, però, è come la gente tenda ancora a identificarsi parecchio con i giocatori, che del resto non sono colpevoli di finire nella bolla in cui galleggiano. Perlopiù provengono da contesti proletari: Rooney, Bale o Gerrard, anche se nel calcio girassero zero soldi, giocherebbero lo stesso. Il calcio, a tutti i livelli, è pieno di gente mossa dall’amore e dalla fedeltà, da passione a cameratismo: un mondo così interessante da raccontare. Ogni aspetto della vita è lì: avidità, generosità, amore, odio, benessere, povertà, amicizia e rivalità».
In che modo gli inglesi vivono, oggi, il football: un sollievo dalle frustrazioni quotidiane o qualcosa in più?
«Si ricerca l’avventura, la magia e, certo, una fuga dai problemi di tutti i giorni. Ma, come in tutto ciò che è in grado di generare una tale passione e unire un numero così grande di persone, si delinea necessariamente una dimensione politica. La nascita del “fan-power” – penso a eventi come la creazione del Fc United of Manchester (una squadra nata in reazione alla commercializzazione del Manchester United) o a squadre salvate dal fallimento grazie ai tifosi, come nel caso del Newport County – è un fenomeno recente molto importante: un antidoto contro gli intrallazzi finanziari dei grandi club. Neanche tutti i soldi del mondo possono rovinare la bellezza del gioco. Domani, anche se i soldi sparissero, il calcio non svanirebbe».
Si sta evolvendo l’intreccio tra calcio e politica, che lei affronta in Heartland?
«Il razzismo è una questione centrale. Nel calcio inglese non c’è il tentativo di nascondere problemi conclamati, come invece si fa con tante altre ingiustizie sociali. La campagna per la verità su Hillsborough (nel 1989 novantasei tifosi del Liverpool morirono schiacciati durante la semifinale di Fa Cup) ha evitato l’insabbiamento politico della vicenda. Occorre poi sottolineare come il calcio rischi di diventare sempre più elitario: a partire dal costo dei biglietti della Premier League. La storia dell’Afc Liverpool (un club di quartiere, animato da persone che non potevano più permettersi il biglietto per ammirare i Reds) in questo senso racconta una reazione appassionata all’esclusione».
Il personaggio di Jim è molto funzionale nel ritrarre la crisi del Labour (e della sinistra in generale), che non riesce a governare il cambiamento e a parlare all’elettorato storico. Lo spirito del ’45 rievocato è ormai irrecuperabile?
«Penso che lo “Spirito del ’45” sia ancora vivo, sebbene ridotto a una piccola fiamma. Ed è corretto quanto dici: Jim è esausto dal ritmo di decomposizione che investe la sua comunità. Dicono che quegli anni siano ormai andati, che ogni senso di universalismo, collettivismo, stato sociale, sia solo una forma di nostalgia. Certo, il mondo è cambiato. Esiste l’impatto della deindustrializzazione. L’Inghilterra è cambiata profondamente, come Jim avverte in maniera così acuta in Heartland. Ma una fede nella giustizia sociale, nell’eguaglianza, nella semplice dignità umana, una società in cui la gente si prenda cura degli altri, “dalla culla alla tomba”, rimarrà sempre un dato rilevante. E sono sicuro che nei prossimi anni tornerà a far parte della politica mainstream».
Che cosa sono oggi le periferie urbane: un agglomerato delle sconfitte, tanto individuali quanto della società, e incubatrici di potenziali scontri di civiltà tra poveri? O possono essere dei laboratori culturali per elaborare un’altra idea di comunità?
«Accrescono i problemi, quando le divisioni economiche vengono replicate urbanisticamente. In Heartland, Cinderheath rimane isolata e desocializzata dalla chiusura della fabbrica di riferimento. Le comunità etniche che vi convivono si trincerano nella zona bianca, in quella asiatica, zavorrate dalla disoccupazione e dall’incomunicabilità culturale. Ciò che però è più interessante è il rifiuto di conformarsi al ruolo che il potere sembra aver destinato loro. I personaggi reagiscono: un sequel allegro del romanzo racconterebbe l’unione tra le due squadre rivali per formare un unico club, sintetizzando un’altra idea di Cinderheath».
Le cronache continentali affrontano da mesi il fenomeno preoccupante di Alba Dorata in Grecia. E in generale c’è lo spettro della possibile affermazione, alle prossime elezioni, di movimenti politici euroscettici e xenofobi, che lei rappresenta nel romanzo. Qual è la situazione in Inghilterra?
«Il British National Party, come forza elettorale, è completamente naufragato. La English Defence League cerca lo scontro, marciando soprattutto nei quartieri degli asiatici, un po’ nello stile delle blackshirts di Oswald Mosley negli anni Trenta. Lo United Kingdom Independence Party, anti-europeista e anti-immigrazione, ha guadagnato popolarità tra le classi medie: incarnano un terribile bigottismo e un estremismo politico che intende costruire un fuorviante “senso comune”. La mia idea è che l’influenza dell’estrema destra sia una specie di “segreto sporco” della società britannica, che intendevo simboleggiare nel raduno nella casa di campagna tra i ricchi finanziatori del Bnp».
Guarda anche l’intervista di Rossana Livolsi per il Tg3 Buongiorno Regione, registrata in occasione della partecipazione di Cartwright a una serata a Roma a sostegno della squadra di calcio dell’Atletico San Lorenzo (l’intervista è ai minuti 13’/14’).
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