Il gol del secolo. Un estratto di Maradona è amico mio di Marco Ciriello
32 anni fa, il 22 giugno 1986, a Città del Messico si giocarono i quarti di finale del Mondiale di calcio, vinto poi dall’Argentina di Diego Armando Maradona. La partita, Inghilterra-Argentina 1-2, rappresenta uno dei momenti più alti del Pibe de oro. Oltre alla famosa Mano de Dios, Maradona diventò leggenda per il gol del secolo, entrato nell’immaginario collettivo anche grazie alla telecronaca di Victor Hugo Morales. Per l’occasione pubblichiamo un breve estratto della nostra ultima pubblicazione, Maradona è amico mio di Marco Ciriello.
Buona lettura da 66thand2nd!
Quando gira, palla al piede, sotto gli occhi di Beardsley (davanti), Reid (dietro) e si avvia ad affrontare Butcher, Maradona sa che niente sarà più come prima. L’imprevedibilità della sua azione, all’avvio, sarà quella della sua vita. E, vista la decisione con la quale si dirige verso la porta inglese, sa anche che segnerà, o ne ha tutte le intenzioni. Quello che non sa è che quel gol sarà votato dalla Fifa nel 2002 come il «Gol del secolo», e che non tutto andrà come in quella partita: ventotto anni dopo, siamo ancora tutti qui a guardare una giocata di dieci secondi, sessanta metri percorsi, sei avversari superati, tredici tocchi di palla. Era il 22 giugno 1986, si giocava il quarto di finale Argentina-Inghilterra, a Città del Messico, stadio Azteca, un po’ come gli Studios di Hollywood (lo stesso della partita più bella di sempre, Italia-Germania 4-3). Ma prima che Maradona si liberasse di impedimenti, schemi, avversarsi, aveva fatto un gol di mano, complice l’arbitro tunisino Bennaceur, che non aveva visto. Percorso da quella naturalezza che avevano avuto Picasso dipingendo Guernica o McCartney componendo Yesterday, Maradona riceve il pallone – anche male – da Enrique, è costretto a girare su sé stesso con la palla, prima di prendere il volo, lo fa, si mette in posizione, e va fino alla porta inglese, percorre la fascia destra del campo con una semplicità che ancora oggi stupisce. Ora che i sei calciatori inglesi (Sansom, Reid, Butcher, Fenwick, Beardsley e Shilton) siedono in panchina tranne il portiere Shilton che ha scelto una vita di carambola delinquenziale, e che tutti li ricordiamo come i nomi di città attraversate, luoghi geografici superati, e che ancora fanno litigare sulle isole Malvinas/Falkland, e che Maradona sembra aver esaurito i suoi colpi di scena, girando il mondo come allenatore/griffe, lontano dal calcio che conta, quel gol non smette di stupire. E vive. Su YouTube c’è in tutte le salse e lingue, come un’opera d’arte o il discorso di un presidente americano. Ognuno ci legge quello che vuole, all’occorrenza diventa manifesto di ribellione, redenzione morale rispetto al precedente gol di mano, pareggio di guerra e via così. In realtà racchiude l’immortalità, uguale al Giovane Holden di J.D. Salinger, e non appartiene più a Maradona, ma a tutti. Come ogni gesto dell’immaginazione davanti al quale la realtà soccombe, è un gesto solitario ed egoista, e contiene una parabola di bellezza infinita, che sottrae spazio al nulla che ci avvolge. Dal momento in cui Maradona supera il centrocampo, entra in una dimensione che è altra (deificata, mitologizzata), non a caso i calciatori inglesi non lo toccano e se ci provano sono in ritardo, appartengono a un altro tempo: il passato. Riescono a entrare in contatto con lui solo dopo l’ultimo tocco, con la palla già in porta, quando la sua velocità si è placata, la missione compiuta. Il gol va visto a rallenty, Maradona che accarezza il pallone, il suo corpo appare dilatato: la sua corsa da puma, non c’è un gesto sbagliato né di troppo, non c’è una esitazione, non serve altro che l’oscillazione all’unisono con la palla della sua figura per liberarlo dagli avversari, a quel punto segnare è una formalità, come una firma per ritirare un pacco sotto la porta di casa.
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