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Alla ricerca dello Zucchero nero. Un estratto del nuovo romanzo di Miguel Bonnefoy

Dopo Il meraviglioso viaggio di OctavioMiguel Bonnefoy ci conduce tra le paludi dei Caraibi alla ricerca di un tesoro nascosto, seguendo le avventure di Severo Bracamonte, in una fiaba sensuale e picaresca.

Pubblichiamo un estratto di Zucchero nero il nuovo romanzo di Miguel Bonnefoy, in lingua originale e nella traduzione di Francesca Bononi.
Il libro è disponibile dal 15 febbraio in libreria e sul nostro sito.

Buona lettura!

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Con quel suo segreto cercare, Severo Bracamonte celebrava la memoria di tutti quegli uomini che avevano camminato immersi nel limo dei fiumi, che si erano impantanati nelle paludi dell’entroterra e che, in preda ai morsi della fame, si erano feriti la pianta dei piedi con le punte di diamante. Prima di uscire, cerchiava le zone da esplorare e individuava le gallerie sotterranee. Per evitare di perdersi in inutili vagabondaggi, verificava per ore la precisione delle sue bussole. Trascorreva intere giornate da solo nel capanno ad analizzare le carte delle varie isole, inveendo contro i gradi minuti approssimativi delle vecchie scale, e senza alcun tipo di nozione risolveva da sé le equazioni con più precisione di un cartografo. Dopo un mese partì alla volta della foresta. Nello zaino aveva infilato vettovaglie, una caffettiera di latta, gallette di cassava e un sacchetto di farina di manioca. In una mano stringeva un bastone di metallo per sondare i corsi d’acqua che attraversava. Nell’altra una bisaccia contenente candele, un coltello e alcuni strumenti di misura. Sulla spalla destra reggeva un pesante badile di legno. Quando arrivava in una radura, perlustrava la zona e tracciava una mappa. Annotava con cura ogni luogo esplorato mettendo un segno sulle zone già battute. Per bussola aveva un piccolo quadrante magnetizzato, comprato in un vecchio mercato, che indicava la direzione del mare.

***

Dans le secret de sa quête, il célébrait la mémoire de tous ces hommes qui avaient marché en s’enfonçant dans le limon des fleuves, qui avaient pataugé dans les marais de l’arrière- pays et qui, le ventre creux, se blessaient la plante des pieds avec des têtes de diamants. Avant de sortir, il quadrillait les zones à explorer et faisait des repérages qui indiquaient les galeries souterraines. Afin de laisser le moins de place possible aux errements inutiles, il vérifiait pendant des heures la précision de ses compas. Seul dans sa cabane, il examinait à longueur de journée des plans d’îles, pestait contre les échelles anciennes aux minutes incertaines et, ignorant toute science, résolvait lui-même des équations plus exactes que celles des cartographes. Au bout d’un mois, il partit en direction des fourrés. Des provisions de bouche alourdissaient son sac, une cafetière en fer-blanc, de la cassave en galette et un sachet de farine de manioc. D’une main, il tenait une tige en métal pour tester les rivières où il passait. De l’autre, une besace qui contenait des bougies, un couteau et des instruments de mesure. Sur son épaule droite, il faisait balancer une lourde pelle en bois. Quand il atteignait une clairière, il inspectait les alentours et dressait des plans. Avec soin, il notait chaque endroit exploré sur une carte, en marquant des repères pour ne pas fouiller deux fois le même secteur. En guise de boussole, il possédait un petit cadran aimanté, acheté sur un vieux marché, qui indiquait la direction de la mer.

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