Pantani era un dio

Pantani-Tonkov, il duello

Giro d’Italia 1998. È il 4 giugno, e la carovana affronta la diciannovesima tappa, la quart’ultima, da Cavalese a Montecampione. Nei due giorni precedenti, come scrive Marco Pastonesi nel suo Pantani era un dio, il Pirata ha ribaltato la corsa rubando la maglia rosa a Alex Zülle, ma senza scrollarsi di dosso la minaccia del russo Pavel Tonkov, che lo insegue in classifica generale ad appena 27 secondi. Troppo pochi per sentirsi al sicuro in vista della cronometro Mendrisio-Lugano del penultimo giorno, nella quale Tonkov è strafavorito.
Pantani deve inventarsi qualcosa, e per farlo non può esserci teatro migliore che la salita di Plan di Montecampione. Una strada, scrive Pastonesi, che «è una salita a senso unico, un biglietto di sola andata, una botta e via. […] una salita dove si va per una selezione decretata non da dubbi e crisi, ma dal progressivo sfinimento fisico e mentale. Prima le gambe, poi la testa quando le gambe, da sole, non sono più sufficienti».
Il duello tra Pantani e Tonkov negli ultimi chilometri di questa ascesa «disegnata geometricamente» incarna alla perfezione tutta l’epica del ciclismo. Lo si capisce guardando questo breve passaggio della trasmissione Sfide tratto dalla puntata «Le salite di Marco Pantani», andata in onda nell’estate del 2005.

 

Pantani fa la scia, Tonkov la sfrutta

E lo si capisce anche leggendo le pagine che Pastonesi dedica a questo storico «uno contro uno. Come su un ring. Come su un tatami. Come in uno slalom parallelo, ma in senso inverso: dal basso verso l’alto. Ed è come se tutti gli altri corridori volessero lasciarli da soli, come se tutti fossero invasi dalla paura di condizionarne la sfida, come se fossero rispettosi di un livello superiore».

 Tonkov e Pantani: non potrebbero esserci due corridori, e due uomini, più diversi. «Uno viene dalla steppa» scrive Claudio Gregori «l’altro dal mare. Tonkov è una fortezza, Pantani un’eruzione. Tonkov è un personaggio di Buzzati. Aspetta. Pantani è scappato dalle pagine di Alexandre Dumas. È D’Artagnan. Ha il gusto della sorpresa e dell’invenzione. Tonkov ha la calma della Russia immensa. La fatica lo percorre come un fiume sotterraneo senza lasciare tracce. Pantani cerca la prodezza. Tonkov ha una missione da compiere, galoppa assorto come un corriere dello zar. La bici di Pantani è uno Stradivari. Ha per spartito Il trillo del diavolo di Tartini. Vuole rapire. Tonkov viene dalla città dei kalashnikov, vuole conquistare. La sua bici è un tamburo di guerra. Il suo spartito è il Degüello».
Pantani, maglia rosa e calzoncini gialli della Mercatone, Tonkov, maglia azzurra e calzoncini azzurri con i mattoncini colorati dello sponsor, la Mapei. Mercatone e Mapei, in questi anni, sono divise come il Milan e l’Inter nel calcio da sempre, come la Molteni e la Salvarani nel ciclismo degli anni Sessanta. Pantani, dorsale numero 101, Tonkov, dorsale numero 91. Pantani, pelato, Tonkov, capelli corti. Pantani, più in piedi che seduto, Tonkov, più seduto che in piedi. Pantani davanti, Tonkov dietro. Pantani che fa la scia, Tonkov che la sfrutta. È una salita in cui, a 25 chilometri orari, la scia ha un potere enorme.
Pantani divora la strada prima con gli occhi, poi con i pedali, Tonkov ha uno sguardo più miope, guarda la ruota posteriore di Pantani, o addirittura il mozzo della propria ruota anteriore. Pantani si gira verso Tonkov soltanto in due occasioni: la prima per controllare e forse per incoraggiarlo a tirare la sua parte, la seconda per costringerlo a tirare. Dopo la seconda, Tonkov va in testa a tirare. Per poco, pochissimo. Pantani riprende il comando. Quando si alza, aumenta frequenza e velocità. Non sono autentici e dichiarati attacchi, ma sferzate, scudisciate. Ne piazza cinque o sei. Apparentemente innocue, inutili. Invece sono terribili.
Quando mancano 2500 metri circa al traguardo, dopo una galleria, Pantani scudiscia Tonkov. E stavolta Tonkov non reagisce, rimane seduto sulla sella, la volontà domata, le gambe dure. Pantani se ne accorge, come se, dopo l’ennesimo corpo a corpo, fiaccata la resistenza dell’avversario con un diretto al fegato, lo chiudesse alle corde e lo tempestasse di colpi e gli annebbiasse la vista e gli impedisse il respiro. Una quarantina di secondi guadagnati in un chilometro, 57 all’arrivo, più 4 di abbuono (12 al primo, 8 al secondo), totale un minuto e 27 secondi di distanza in classifica generale.
Non è un ko, ma quasi. I distacchi sono severi. Guerini, più turbato che Turbo, è terzo a 3 minuti e 16 secondi, Francesco Secchiari, coinvolto con Pantani quattro anni prima nell’incidente contro una macchina nella Milano-Torino, quarto a 4 minuti e 4 secondi, Paolo Savoldelli tredicesimo a quasi 8 minuti, Bugno trentunesimo a più di 18 minuti, Chiappucci cinquantasettesimo a oltre mezz’ora.
Nuovo regno. Nuova gerarchia.