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Il distretto più controverso di Tokyo. Un estratto da Kabukicho di Dominique Sylvain

In occasione del tour in Italia di Dominique Sylvain, pubblichiamo un estratto del suo romanzo Kabukicho.
Figura di spicco del polar francese, Dominique Sylvain è nata in Francia. Dopo aver lavorato in patria come giornalista e addetta stampa, si trasferiscein Asia con la famiglia. Soggiorna per tre anni a Tokyo, città che le ispira il suo primo romanzo Baka! (1995), e poi a Singapore, dove scrive Soeurs de sang (1997) e Travestis (1998). Tornata a Tokyo si dedicherà esclusivamente alla scrittura, una passione che la ripagherà facendole guadagnare nel 2005 il Grand prix des lectrices di «Elle» con Passage du désir, tradotto in Italia da Mondadori con il titolo Delitto nel vicolo dei desideri (2009). Sempre per Mondadori sono usciti I giardini dell’orco (2008) e La guerra sporca (2012). Paragonata da molti a Fred Vargas, Dominique Sylvain seduce per il suo universo fosco e intrigante. Con Kabukicho si è aggiudicata il Prix Interpol’Art roman 2017.

Buona lettura!

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«L’acutissimo cigolio dei treni scuoteva le pareti ogni quarto d’ora, ma non era rilevante la comodità. Avevo una stanza tutta per me e costava poco.
La cosa più importante era la piccola rivoluzione avvenuta: mi interessavo di nuovo ai miei simili. Gli eccentrici travestiti da extraterrestri si mescolavano alle truppe di impiegati. Il passante che pregava Buddha in piedi, mani giunte, pochi secondi prima di evaporare. La geisha che aveva abbandonato l’ombra per un sole feroce, passettini eleganti e kimono sfavillante, decisa a danzare con i poliziotti al suono dei tamburi di una festa di quartiere. L’autista in guanti bianchi nel suo taxi con decorazioni di pizzo, che scivolava senza intoppi in un labirinto dove ogni indirizzo rappresenta un enigma.
Sono stata inghiottita dal flusso della folla. I treni si sono infilati tra gli schermi giganti per raggiungere i territori confiscati al mare. Canti sono sfuggiti da minuscoli santuari, inchiodati tra edifici privi di carattere.
Ero ubriaca senza aver bevuto, le mie emozioni si riorganizzavano, uscivo dal lungo inverno.
E poi i soldi sono volati via e ho dovuto necessariamente trovare un lavoro.
Una compatriota, incontrata in un caffè per stranieri, mi consigliò il Clio Bar, un locale tranquillo, a Kabukicho, destinato a una clientela di una certa età.
Ka-bu-ki-cho, quattro sillabe che schioccano.
Come i sandali dei lottatori di sumo sul lastricato. Quartiere malfamato, affidato al rispettabile municipio della circoscrizione di Shinjuku.
Venni a sapere che il nome proveniva da un sogno incompiuto, quello del sindaco di Tokyo che, all’indomani della guerra, immaginò di costruire, laddove era avvenuto il disastro dei bombardamenti, un teatro di kabuki per offrire ai suoi concittadini un parco divertimenti per famiglie.
Sfortunatamente, quel sogno metteva in risalto i valori tradizionali nel momento in cui il paese aveva bisogno di riforme. Le truppe di occupazione avevano invece un progetto ben preciso: venire incontro ai soldati americani assetati di sesso. L’ondata capitalista avrebbe preso le dimensioni di uno tsunami: al posto di un teatro epico, vi sarebbero sorti bordelli.
Una sessantina d’anni dopo, Kabukicho era ancora il regno dei piaceri venali.
Tutto vi era possibile, l’innocuo come l’inimmaginabile…».

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