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30 anni da Piazza Tienanmen.

Sono passati 30 anni dalla strage di Piazza Tienanmen: il 4 giugno 1989 il governo cinese represse nel sangue la protesta di studenti, intellettuali e lavoratori. 66thand2nd vuole ricordare questo tragico anniversario con alcune pagine tratte da Non dite che non abbiamo niente, il romanzo della scrittrice Madeleine Thien. In fondo all’articolo trovate anche un’intervista all’autrice sulla Cina di ieri e di oggi.

 

Tienanmen

Fotografia: Gli studenti Zhang Zhiyong, Guo Haifeng e Zhou Yongjun inginocchiati sui gradini della Grande Sala del Popolo, 22 aprile 1989. Tra il 1989 e il 2002 Zhou, studente di scienze politiche alla China University, è stato cinque anni in carcere. Nel 2008, mentre tentava di rientrare nel paese per andare a trovare il padre malato, fu arrestato dalla polizia di Hong Kong ed estradato in Cina. Inizialmente accusato di crimini politici, fu poi condannato a 9 anni di carcere per frode finanziaria. Dal 2014 di lui non si sa più niente. Gli innumerevoli tentativi di trovare la fonte di questa celebre immagine non hanno dato esito.

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Nel 1989 per la mamma e per me la vita era diventata un tran tran inesorabile: lavoro e scuola, televisione, cibo, sonno. La prima volta che mio padre se n’era andato aveva coinciso con una serie di eventi epocali in Cina, eventi di cui mia madre seguiva ossessivamente gli sviluppi sulla Cnn. Le domandai chi fossero quei dimostranti, e lei mi rispose che erano studenti e gente comune. Le chiesi se mio padre fosse lì, e lei rispose, «No, quella è piazza Tian’anmen, a Pechino». Le manifestazioni che avevano portato in piazza più di un milione di cittadini cinesi erano cominciate in aprile, quando mio padre ancora viveva con noi, ed erano continuate dopo che lui era sparito a Hong Kong. Poi, il 4 giugno e nei giorni e settimane che seguirono al massacro, mia madre piangeva. La guardavo, una sera dopo l’altra. Bà aveva abbandonato la Cina nel 1978 e gli era proibito rientrare nel paese. Ma io non capivo, non riuscivo a capire neanche quello che avevo sotto gli occhi: immagini caotiche e spaventose di folla e carri armati, e mia madre davanti alla tv.

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Avevo una percezione confusa e parziale degli avvenimenti accaduti nel suo paese, nel paese di mio padre, tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate del 1989, quegli avvenimenti che l’avevano costretta ad andarsene. Qui, nel ristorante preferito di mio padre, le feci la domanda che da tempo desideravo pronunciare ad alta voce, le chiesi se aveva partecipato alle manifestazioni in piazza Tian’anmen.

Ai-ming esitò a lungo prima di rispondere. Alla fine mi parlò dei giorni e delle notti in cui in piazza si erano radunate più di un milione di persone. Gli studenti avevano iniziato uno sciopero della fame durato sette giorni e Ai-ming aveva trascorso alcune notti dormendo sull’asfalto, accanto alla sua migliore amica, Yiwen. All’aperto, quasi senza riparo dal sole o dalla pioggia. In quelle sei settimane di manifestazioni si era sentita a casa sua in Cina; per la prima volta aveva capito cosa significasse guardare il paese con i propri occhi, con la propria storia, svegliandosi accanto a milioni di altre persone. Non voleva essere un fiume immobile, voleva diventare parte dell’oceano. Ma adesso non sarebbe mai tornata indietro, disse. Quando era morto suo padre si era sentita spogliata di tutto. Anche lei era morta con lui.

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Era il 22 aprile 1989. I tre alzarono le braccia, tenendo la petizione in alto, e caddero in ginocchio, come per chiedere clemenza. Dietro di loro, in piazza Tian’anmen, più di duecentomila studenti universitari reagirono, prima sconvolti e poi affranti.

perché vi inginocchiate?
alzatevi, alzatevi!
questa è la piazza del popolo! perché dobbiamo rivolgerci al governo stando in ginocchio? come potete inginocchiarvi in nostro nome? come? Gli studenti, di ogni estrazione politica ed economica, erano in preda all’angoscia. Ma i tre rimasero dov’erano, minuscole figure con la petizione che pesava nell’aria, in attesa che qualche personaggio autorevole la prendesse. Passarono dieci, venti, trenta minuti, e loro rimasero in ginocchio. Dietro cresceva l’agitazione. Quando i leader della Cina rifiutarono di rispondere, le dimostrazioni di Tian’anmen cominciarono sul serio.
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Intervista a Madeleine Thien: CINA, GLI ANNI DELLA SPERANZA E DEL TERRORE (di Ornella Ferrarini per GIOIA).
Lei non era nata al tempo di Mao e aveva 14 anni durante i fatti di Tienanmen, come ha vissuto questi due periodi?
Abitavo in Canada, vedevo la superficie, i servizi in tv. Sono andata in Cina solo nel 2003, per accompagnare mia madre che ci voleva tornare. E’ mancata prima che partissimo, quindi sono andata da sola e lì ho iniziato a fare ricerche pensando a un romanzo.
La Cina è cambiata?
Difficile dirlo. Oggi è una potenza economica, la quantità di persone che ha tolto dalla povertà è impressionante, ma il potere politico è sempre nelle mani di pochi. E chi si batte per i diritti umani sconta dure condanne. Eppure i cinesi con cui ho parlato sentono di avere libertà di pensiero. Un milione di giovani studia all’estero, ma l’80 per cento torna in patria.
E le donne?
Impossibile generalizzare. La fuga dalle campagne iniziata dagli anni 80 ha portato in città anche molte donne, che spesso sono diventate l’unica fonte di reddito della famiglia. Di sicuro le donne cinesi sono forti. Sfidano il deserto, le Guardie rosse, la fame.
Da dove viene il titolo del suo romanzo?
E’ una strofa dell’Internazionale cinese, tradotta dalla versione russa che a sua voltaè ispirata a quella francese.
I suoi personaggi sono doppi:intellettuali che fanno i rivoluzionari, contadini che recitano poesie.
A quell’epoca c’era un enorme fermento culturale in Cina, era finita la guerra, arrivavano stimoli dall’Occidente, c’erano circoli letterari spontanei. Ogni persona aveva più “strati”, più identità. Mao diceva che bisognava demolire tutti questi strati per ripartire nuovi e liberi. Ma è impossibile.

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