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26 febbraio 2012 / In memoria di Trayvon Martin

Il 26 febbraio 2012 Trayvon Martin è stato ucciso. Camminava lungo una strada a Sanford, in Florida. Aveva il cappuccio della felpa calcato in testa, una bibita e un pacchetto di caramelle in mano. Zimmerman – un vigilante volontario delle ronde di quartiere – fu insospettito dal ragazzo e per questo decise di segnalarlo alla polizia chiamando il 911. Iniziò a seguirlo con la macchina, ma invece di aspettare l’arrivo della polizia decise di scendere e andargli incontro, convinto che fosse un ladro. Tra i due ci fu uno scontro e Zimmerman sparò un colpo di pistola, colpendo al cuore Martin e ferendolo a morte.Claudia Rankine, in Citizen, gli dedica un intero capitolo – In memoria di Trayvon Martin – che vi proponiamo di seguito:

I miei fratelli sono tristemente noti. Non sono stati in prigione. Sono stati imprigionati. La prigione non è un luogo in cui si entra. È un non luogo. I miei fratelli sono tristemente noti. Fanno cose normali, come aspettare. Al mio compleanno pronunciano il mio nome. Non dimenticheranno mai che il nostro nome è noto. Cos’è quel ricordo?

I giorni della nostra infanzia insieme erano ripidi gradini in una mente che crolla. Era come soccorrere noi stessi, come se venissimo soccorsi. Poi ci sono questi giorni, ogni singolo giorno delle nostre vite da adulti. Mai dimenticheranno ciò che abbiamo passato, questi fratelli, ogni fratello, fratello mio, fratello caro, miei adorati fratelli, caro cuore-

I vostri cuori sono spezzati. E non è un segreto, sebbene segreti ve ne siano. E ancora non capisco come il mio dolore si sia trasformato nei cuori dei miei fratelli. I cuori dei miei fratelli sono spezzati. Se conoscessi un altro modo di essere, chiamerei un fratello, mi sentirei dire, fratello mio, fratello caro, miei adorati fratelli, caro cuore-

Sulla punta della lingua una nota dopo l’altra forma un altro cammino, un’altra alba dove il cielo rosa è il lividume del colpito, dell’insonne, del desolato, del tramortito, sst. Quegli anni di me e dei miei fratelli, e di prima, gli anni di passaggio, delle piantagioni, delle migrazioni, della segregazione di Jim Crow, della povertà, dei quartieri degradati, della schedatura, di uno in tre, o due lavori, ragazzo, ehi ragazzo, ciascuno un crimine, si accumulano nelle ore delle nostre vite dove siamo tutti presi al cappio, la corda dentro di noi, l’albero dentro di noi, le sue radici i nostri arti, una gola tagliata e quando apriamo la bocca per parlare, fiori, o fiori, nessun posto che si apre, fratello, fratello caro, quel tipo di blu. Il cielo è il silenzio dei fratelli in tutti i giorni che precedono la mia chiamata.

Se io chiamassi direi addio prima di interrompere l’addio. Dico addio prima che chiunque possa riattaccare. Non riattaccare. Mio fratello riattacca nonostante sia là. Continuo a parlare. Le mie parole lo tengono là. Il cielo è blu, quasi blu. La giornata è calda. Fa freddo? Hai freddo? In effetti fa freddo. Fa freddo? Hai freddo?

Mio fratello è completato dal cielo. Il cielo è il suo silenzio. Finalmente piove, dice. Piove molto. Smette di piovere. Piove molto. Non riattaccherà. È là, è là ma ha riattaccato sebbene sia là. Addio, dico. Interrompo l’addio. Dico addio prima che chiunque possa riattaccare, non riattaccare. Aspetta con me. Aspetta con me anche se l’attesa potrebbe essere il richiamo degli addii.

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