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Vita da editor

Il «lavoro di un editor è buono quando non si vede. Di un buon editor non si riconosce la mano, perché ogni libro ti chiede un lavoro diverso. L’editor dev’essere neutrale e trasparente, è l’autore che deve parlare, è il libro che deve avere visibilità». A parlare è Angela Rastelli, editor Einaudi che ha lavorato alle Otto montagne di Paolo Cognetti, vincitore del premio Strega 2017.

«L’anonimato e l’alto tecnicismo richiesti all’editor» prosegue l’articolo, uscito sul Post.it e firmato da Arianna Cavallo, «non rendono chiare le sue mansioni al di fuori dall’ambiente editoriale: è una figura confusa, visto come un nerd polveroso, quando invece gli è richiesto un confronto incessante con il mondo, una curiosità pervasiva, sottigliezza psicologica nel trattare con gli autori e furbizia nello stare al mondo. Per essere un abile editor ci vuole tutto questo, ma la ragione per cui si inizia è un’altra e la stessa per tutti: l’ossessione snaturata per il testo. Tra la prima stesura e la stampa di un libro si srotolano le moltitudini di riletture dell’editor, che lentamente si ammala e si incaglia in quelle parole in fila e in quei ritmi. L’editor rilegge, rilegge e rilegge, provando a far scricchiolare le impalcature del testo, vagliando viti che non siano allentate e accarezzando la superficie per preservare i lettori da ogni scheggia: deve tenere la trama, la credibilità del dialogo, il nome di un incrocio tra due vie, la crescita sentimentale dei personaggi. Ore di rimuginamenti finiscono nell’accorciamento di un paragrafo, nella precisazione di un colore, in una virgola tramutata in un punto e virgola. “L’editor può essere un complice, uno specchio, una figura maieutica, ma non è mai un co-autore”».

Vi invitiamo a leggere sul sito del Post.it l’intervista integrale di Arianna Cavallo a Angela Rastelli.

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