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Si chiama Andrea di Gian Luca Favetto. Un estratto

Chi è Andrea? Sembrerebbe una ragazza come tutte. Lavora come agente immobiliare, ma invece di cercare casa ai suoi clienti cerca abitanti adatti alle case che ha scelto. Si chiama Andrea di Gian Luca Favetto oscilla tra toni lievi e momenti inquietanti, raccontando la giovinezza di Andrea, le sue amicizie e i suoi fugaci amori. Perché Andrea è un essere umano. Come tutti.

Qui trovate un estratto del libro. Buona lettura!

Favetto

 

Andrea vede e vende case, le sceglie, le cura. A volte le fa passare di mano arredate, a volte le vede e le vende vuote.
Il vuoto di una casa non è il vuoto di tutte le altre cose, sostiene. Il vuoto è la base di una casa, è le sue fondamenta.
Ci sarebbe una definizione precisa per il suo lavoro: agente immobiliare. Ma è raro che Andrea riconosca di fare l’agente immobiliare.
Può capitare che qualcuno chieda: che lavoro fai? Per Andrea è una domanda imbarazzante. A quattro, cinque anni, non sopportava la domanda come ti chiami, adesso non sopporta la domanda che lavoro fai.

Ci vuole predisposizione e gradevolezza per essere un buon agente immobiliare. Ci vuole chiacchiera e capacità di mediare. Bisogna adattarsi ai clienti, mostrarsi comprensivi, assecondarne i gusti e rispondere alle domande, anche alle più innocenti, con la risposta che vogliono sentire. Bisogna confermarli nelle loro idee e però sorprenderli, far balenare uno stupore che suggerisca: questa casa ha delle potenzialità, è perfetta per me.
Non c’è cliente che non voglia essere garantito sulle potenzialità delle case che visita. Ma Andrea preferisce considerare le potenzialità del cliente rispetto alla casa. Punta a tutelare la casa dagli acquirenti inadatti.

Sono le case a essere indifese: non possono fuggire o nascondersi, sono lì ad aspettare e ad accogliere. Meritano protezione. Ne esistono anche di quelle che chiedono di non essere abitate. Bisogna ascoltarle e lasciarle a rifugio dei ricordi. Le ha sempre amate, le case. Fra quattro pareti, si sente al proprio posto.
Ha avuto la possibilità di entrare nel campo immobiliare grazie al padre e a un amico del padre.
Suo padre ha avuto molti amici. Ha aiutato le persone con generosità e si è fatto aiutare. La vita dà, la vita prende, diceva, uno deve farsi trovare pronto, deve accettare ciò che viene senza lamentarsi, e poi te la giochi.
Era un uomo d’azione. Appena aveva un’idea, la metteva in pratica. Se non funzionava, ne cercava un’altra. Non sapeva che cosa fosse la resa. Andava avanti, procedeva, faceva… Grazie al padre, dunque, Andrea ha avuto la sua opportunità e l’ha sfruttata. Ha iniziato a ventun anni.
Che lavoro fai?, chiedevano. Mi occupo di case, rispondeva. In che senso?, insistevano. I rompicoglioni, spesso, hanno una facciotta perbene. Se non nascono con la facciotta perbene, se la fanno venire. Tendono a presentarsi come primi della classe e uomini di mondo, come ragazze inquiete e generose.

Vendo case, sintetizzava Andrea. Ah, sei nel campo immobiliare – accennavano un movimento del capo per dimostrare di avere capito. Poi pretendevano di saperne di più: dove, come, quando… aveva un’agenzia? era dipendente? gli affari andavano bene? era un lavoro part-time, vero? e cosa faceva per vendere case? aspettava i clienti? li andava a cercare? dove ti trovo, se ho bisogno? mi dai il tuo numero?
I rompicoglioni esibiscono un’educazione compiaciuta, tutta sorrisi e saliva. La gente si mostra curiosa anche quando non prova interesse. Fa domande, perché crede sia meglio parlare piuttosto che tacere, poi si abbandona all’indifferenza e si distrae. La risposta che riceve è come una piccola conchiglia sul bagnasciuga: la raccogli e che ne fai? la perdi, la dimentichi; se va bene, quando torni a casa, la riponi in un vaso e l’annulli fra altre conchiglie.
Di fronte agli interlocutori insistenti, infila i suoi occhi nei loro e con disarmante noncuranza sentenzia: «In fondo, l’agente immobiliare è un lavoro di merda».
Sente sue le case con cui lavora. A volte, sente di essere una casa. Di essere la casa. Sente di essere questa casa, ora, la casa di cui attraversa le stanze, percepite come parti di un corpo, il suo corpo, organi interni, cuore, polmoni, stomaco, fegato, intestini, ossa…
«Ci sono duecentosei ossa in un corpo umano» dice con un sorriso l’uomo che segue Andrea. Cerca di mostrarsi interessato e spiritoso. È basso, si sforza di apparire slanciato. La presenza di Andrea produce in lui un sentimento di soggezione e desiderio.
«Guardati intorno» suggerisce Andrea.
Le case bisogna guardarle, bisogna prima curarle con gli occhi. Bisogna assorbirle a cominciare dallo sguardo. E mentre le guardi, loro guardano te. Le scruti e loro ti scrutano. Cerchi di capirle, sentirle, e loro cercano di capire te, si mettono in ascolto di passi e gesti, di quei piccoli respiri che possono svelare un sentimento. Sono più comprensive delle persone. Coltivano lo spirito di adattamento.

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