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Michela Murgia su Fabrizio Patriarca e Tokyo transit

«Arriveremo mai a capire il mistero della creatività individuale?» si è chiesta Michela Murgia, discorrendo di Tokyo transit di Fabrizio Patriarca nel corso della trasmissione Quante Storie, condotta da Corrado Augias.

Guarda qui il video di Michela Murgia.

Di seguito la trascrizione delle sue parole.

«Impossibile non essere sedotti da un ragionamento sul cervello… anche perché inevitabilmente viene da chiedersi: per quanto lo si possa bene investigare, arriveremo mai a capire il mistero della creatività individuale, che genera opere uniche ascrivibili a quel cervello e a quello di nessun altro? Quasi quasi mi verrebbe da sperare di no, che non ci sia una ricerca che ci conduce a capire questo mistero, forse qualche velo ci deve rimanere nella realtà. Il libro di cui parlo oggi è sicuramente uno di quei libri che ti fanno pensare che se no lo avesse scritto il suo autore nessun altro avrebbe potuto, perché è… due parole prima sulla casa editrice, perché capirete dal nome per quale ragione. Il libro si intitola Tokyo Transit, passaggio a Tokyo, lo ha scritto Fabrizio Patriarca e la casa editrice si chiama 66thand2nd. Io amo molto questa casa editrice tanto quanto detesto il suo nome, molto difficile da pronunciare, che significa tra la Sessantaseiesima e la Seconda, che è il modo in cui gli americani danno i loro indirizzi. Al di là di questo vezzo esterofilo, è una casa editrice che stampa e edita molta buona narrativa, con grafiche deliziose e su carta di foreste certificate, e quindi pochi alberi sono stati sacrificati. Ogni tanto, oltre agli stranieri – loro pubblicano molti africani anche, un mondo immaginario che noi conosciamo poco –, pubblicano anche qualche italiano e questo italiano in particolare devo dire che mi ha lasciata sorpresa, interdetta e molto ammirata. Raramente capita di trovare una proprietà lessicale di questa portata, una ricchezza terminologica e un linguaggio pirotecnico, direi, allucinato, a tratti. I due personaggi principali sono due amici che si trovano nella città di Tokyo, ma sono amici che si sono conosciuti all’università e sono rimasti amici in quel modo un po’ perverso in cui lo rimangono più i testimoni che i complici, perché quando un’amicizia è così lunga e hai visto così tante cose dell’altro, a un certo punto la simpatia cade, non te la puoi più permettere, e rimane uno sguardo di cui comunque non puoi fare a meno, perché è la persona che di te sa più di tutte le altre che ti conoscono. Questi due si ritrovano a  Tokyo, cercano di sopravvivere a questa città, a questa megalopoli veramente schiacciante, dove tutto è automatico, anche le relazioni, e lo fanno con le loro contraddizioni. Il cuore della narrazione, che non è fondamentale in questo libro perché la lingua vince, è una giornata che loro passano ad accompagnare quattro ricchi uomini d’affari americani in giro per la città. Vale la pena fare questo viaggio nelle parole, che è anche certamente un viaggio nel cervello di chi le ha scritte; si sarà estremamente divertito, tanto quanto mi sono divertita io a leggerlo. Non lo conosco Fabrizio Patriarca, spero di leggere qualche altra cosa di suo, e mi auguro che autori di questo genere mantengano ben protetto il mistero della genialità dell’individuo».

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