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Bartali, fratello d’Italia

Il più bel libro su Gino Bartali lo hanno scritto due fratelli canadesi, Aili e Andres McConnon. S’intitola “La strada del coraggio”, il sottotitolo recita “Gino Bartali, eroe silenzioso”, e quel “silenzioso” può sorprendere chi conosceva l’inesauribile forza polemica del campione, che a parole dimostrava almeno la stessa resistenza che vantava a pedali. Ma qui il “silenzioso” sta a indicare non a carriera di Bartali corridore, ma l’andirivieni di Bartali postino, postino per la pace, quando trasportava segretamente nuovi ma falsi documenti d’identità per sottrarre cittadini ebrei alle deportazioni naziste e ai campi di concentramento durante la Seconda guerra mondiale.

Bartali è stato Garibaldi in bicicletta. Ha unito l’Italia, dividendola nel tifo fra lui e Fausto Coppi, e moltiplicandola nelle fantasie e nei sogni. Ha anche salvato, l’Italia, con la vittoria al Tour de France nel 1948. Ha colorato l’Italia, che aveva il bianco e nero della miseria, e l’ha anche colorita, con racconti, con avventure, con esplorazioni, con azioni corsare e viaggi spartani, riscrivendo la geografia, cioè regalando alla geografia punti di riferimento umani.

I due McConnon si sono lasciati sedurre dalla storia di Bartali. Si sono tuffati nella letteratura, estesa, nel popolo, riconoscente, e nella famiglia, presente. Hanno parlato con Adriana, la moglie, e Andrea, il figlio maggiore, hanno interrogato Giovannino Corrieri, il gregario, e Alfredo Martini, il testimone, e hanno conosciuto Ivo Faltoni, l’amico, e Giorgio Goldenberg, la cui famiglia fu salvata da Gino in tempo di guerra. E poi hanno inquadrato e incrociato la vita di Bartali in quella dell’Italia.

Così c’è voluto anche del coraggio per scrivere “La strada del coraggio” (pubblicato da 66thand2nd, 18 euro): 280 pagine di romanzo popolare e ciclistico, e un’altra sessantina fra fonti e ringraziamenti. Come dire che è stata quasi un’opera corale. Come dire che è stato come se il gruppo si fosse fermato e avesse raccontato: quel ragazzino che si arrampicava in bici su piazzale Michelangelo e guardava estasiato Firenze, quello scalatore che si scrollava tutti gli avversari sull’Izoard, quel Gino il pio o quel Ginettaccio che sfidava il Campionissimo, quel campione che non rinunciava alle sigarette e al vino, quell’uomo che all’ultimo chilometro della sua esistenza rinunciò a tutto, tanto da essere seppellito con il saio bruno dei carmelitani. Senza tasche.
Marco Pastonesi

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