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Barracoon di Zora Neale Hurston. Un estratto

Nel 1927 Zora Neale Hurston si recò a Plateau, in Alabama, per intervistare Cudjo Lewis, un sopravvissuto della Clotilda, l’ultima nave negriera sbarcata in America. Cudjo era l’unico testimone ancora in vita della «tratta atlantica» degli schiavi africani, una pagina fondamentale ma spesso rimossa della storia americana. «Leggendo Barracoon», scrive nella prefazione il premio Pulitzer Alice Walker, «si capisce subito perchè in passato molti neri, in particolare gli intellettuali e i politici, abbiano avuto problemi ad affrontare questo testo». Pubblichiamo qui un estratto del libro, nell’orginale inglese e nella traduzione italiana di Sara Antonelli». Buona lettura.

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«Ci hanno fatto camminare fino al Dahomey e lì ho visto la casa del re. Non conosco tutte le città in cui siamo passati per arrivare lì, ma ricordo che siamo passati per un posto che si chiamava Eko (Meko), e anche per Ahjahshay. Poi siamo andati nella città dove c’era la casa del re e questo posto lo chiamavano Lomey. (Potrebbe trattarsi di Abomey o di Cannah). La casa in cui abita il re, guarda, è fatta con i teschi. O forse non erano proprio dei teschi, ma a Cudjo sembrava così. Oddio mio! Quando ci sono venuti incontro avevano un teschio bianco sul bastone, e gli uomini che camminavano davanti a noi sul bastone avevano delle teste fresche. I tamburi battevano così forte che sembrava che il mondo intero era un tamburo e che loro ci battevano sopra. Ecco, è stato così che ci hanno portati nel posto dove c’è la casa del re.
«Ci hanno messo nei barracoon (prigioni) e ci siamo riposati. Ci hanno pure dato qualcosa da mangiare, ma non tanto.
«Siamo rimasti lì tre giorni, poi hanno fatto un banchetto. Cantavano tutti, e ballavano e battevano sui tamburi.
«Non siamo rimasti lì per tanto tempo, perché poi ci hanno fatto camminare verso esoku (il mare). Siamo passati per un posto che si chiama Budigree (Badigri), poi siamo andati in un altro posto che si chiama Dwhydah. (I bianchi lo chiamano Whydah, ma la pronuncia nigeriana è Dwhydah).
«Quando siamo arrivati lì, ci hanno messo in un barracoon che stava alle spalle di una grande casa bianca e ci hanno dato da mangiare un po’ di riso.
«Siamo rimasti lì in quel barracoon per tre settimane. Abbiamo visto tante navi sul mare, ma non potevamo vedere molto bene perché tra noi e il mare c’era la casa bianca.
«Però Cudjo ha visto dei bianchi, ed era una cosa che non aveva mai visto prima. A Takkoi avevamo sentito parlare dell’uomo bianco, ma da noi non ci venivano.
«Il barracoon in cui stavamo noi non era l’unico recinto per schiavi che avevano. Ce ne erano tanti altri, noi però non sapevamo chi c’era dentro. Qualche volta li chiamavamo e loro chiamavano noi per capire di dove eravamo. Ma in ogni barracoon c’era una nazione diversa.
«Adesso non eravamo tanto tristi, e siccome eravamo tutti giovani giocavamo e ci arrampicavamo su un lato del barracoon per vedere che succedeva fuori.
«Dopo tre settimane che stavamo lì, nella capanna è venuto un bianco insieme ad altri due uomini che invece erano del Dahomey. Uno era un capo del Dahomey e l’altro era il suo trasforma-parole. Ci hanno fatto mettere tutti in cerchio… all’incirca quindici persone per ogni cerchio. Gli uomini per conto loro, le donne per conto loro. Poi l’uomo bianco ci ha guardato tanto. Ha guardato tanto la pelle, i piedi e le gambe e la bocca. E poi ha scelto. Ogni volta che sceglieva un uomo sceglieva pure una donna. Ogni volta che sceglieva una donna sceglieva pure un uomo. Alla fine ne ha presi centotrenta. Sessantacinque uomini con una donna per uno. Proprio così.
«Poi l’uomo bianco è andato via. Secondo me è tornato nella casa bianca. Ma gli uomini del Dahomey sono venuti a portarci tante cose da mangiare perché ci hanno detto che da lì dovevamo andarcene. Abbiamo fatto un bel pasto. Poi ci siamo messi a piangere perché non volevamo lasciare gli altri nei barracoon. Volevamo tornare a casa nostra. Non sapevamo che cosa ci sarebbe successo, non volevamo separarci gli uni dagli altri.

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“Dey march us in de Dahomey and I see de house of de king. I cain tell all de towns we passee to git to de place where de king got his house, but I ’member we passee de place call Eko (Meko) and Ahjahshay. We go in de city where de king got his house and dey call it Lomey. (Either Abomey or Cannah.) De house de king live in hisself, you unnerstand me, it made out of skull bones. Maybe it not made out de skull, but it lookee dat way to Cudjo, oh Lor’. Dey got de white skull bone on de stick when dey come meet us, and de men whut march in front of us, dey got de fresh head high on de stick. De drum beat so much lookee lak de whole world is de drum dey beat on. Dat de way dey fetchee us into de place where de king got his house.
“Dey placee us in de barracoon (stockade) and we restee ourself. Dey give us something to eat, but not very much.
“We stay dere three days, den dey have a feast. Everybody sing and dance and beatee de drum.
“We stay dere not many days, den dey march us to esoku (the sea). We passee a place call Budigree (Badigri) den we come in de place call Dwhydah. (It is called Whydah by the whites, but Dwhydah is the Nigerian pronunciation of the place.)
“When we git in de place dey put us in a barracoon behind a big white house and dey feed us some rice.
“We stay dere in de barracoon three weeks. We see many ships in de sea, but we cain see so good ’cause de white house, it ’tween us and de sea.
“But Cudjo see de white men, and dass somethin’ he ain’ never seen befo’. In de Takkoi we hear de talk about de white man, but he doan come dere.
“De barracoon we in ain’ de only slave pen at the place. Dey got plenty of dem but we doan know who de people in de other pens. Sometime we holler back and forth and find out where each other come from. But each nation in a barracoon by itself.
“We not so sad now, and we all young folks so we play game and clam up de side de barracoon so we see whut goin’ on outside.
“When we dere three weeks a white man come in de barracoon wid two men of de Dahomey. One man, he a chief of Dahomey and de udder one his word-changer. Dey make everybody stand in a ring—’bout ten folkses in each ring. De men by dey self, de women by dey self. Den de white man lookee and lookee. He lookee hard at de skin and de feet and de legs and in de mouth. Den he choose. Every time he choose a man he choose a woman. Every time he take a woman he take a man, too. Derefore, you unnerstand me, he take one hunnard and thirty. Sixty-five men wid a woman for each man. Dass right.
“Den de white man go ’way. I think he go back in de white house. But de people of Dahomey come bring us lot of grub for us to eatee ’cause dey say we goin’ leave dere. We eatee de big feast. Den we cry, we sad ’cause we doan want to leave the rest of our people in de barracoon. We all lonesome for our home. We doan know whut goin’ become of us, we doan want to be put apart from one’nother.

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