Bambina mia

Bambina mia, romanzo d’esordio di Tupelo Hassman, è la storia di Rory Dawn Hendrix, una ragazzina che vive in un parcheggio per roulotte in un lotto polveroso chiamato Calle de las Flores, poco fuori Reno, la seconda città del Nevada. La storia è ambientata negli anni Settanta-Ottanta, Rory Dawn ha all’incirca tra i cinque e i sedici anni ed è convinta di appartenere di diritto all’ultima generazione di una serie di «donne stupide» destinate al fallimento, alle gravidanze precoci o alla prostituzione. Sua madre, Johanna, in passato è riuscita a scappare da un padre violento per ritrovarsi incinta a sedici anni. Al primo figlio ne sono seguiti altri quattro (l’ultima nata è Rory Dawn), corredati da un divorzio e dall’intervento degli assistenti sociali. Ora fa la cameriera al Truck Stop, ritrovo di camionisti di passaggio, alza spesso il gomito e colleziona uomini sbagliati (che tendono a tornare da lei, sostiene la figlia, per via dei denti guasti che le danno un’aria vulnerabile). La nonna, Shirley Rose, ha passato la vita a giocare alle slot-machine di Reno e comunica via lettera con la nipote, convinta che la piccola abbia le carte per riuscire a sottrarsi al destino delle donne che l’hanno preceduta – la povertà, la marginalità sociale.

Nonostante il timore che la sua vita sia segnata dal difettoso Dna ereditato, Rory Dawn è intelligente, ama i libri, e leggendo Alice nel paese delle meraviglie (un regalo di un ex fidanzato della madre) sogna di fuggire un giorno dal parcheggio dove è condannata a vivere. Il preside della sua scuola pensa che sia adatta addirittura al college. Ma se lasciasse la Calle, si lascerebbe dietro anche tutte le persone che conosce, inclusa sua madre – ed è per questo che Rory inizia a prendere intenzionalmente C a scuola. L’intelligenza infatti, come le A sui compiti, non sono valori molto stimati nella Calle, dove la gente aspetta solo il quindici del mese per incassare il sussidio e sprecarlo subito in droghe e liquori, o nei casino di Reno. Ma l’intelligenza almeno può essere utile a individuare per tempo i pericoli che la circondano da ogni parte: «La Calle» racconta la piccola protagonista «è una specie di zona di guerra. Il nemico è ovunque, il nemico siamo noi». E ancora: «Gli uomini della Calle vanno a caccia di qualsiasi cosa, uccelli, cerchioni abbandonati, bambine, usando allo scopo fucili, fionde o caramelle».

Per orientarsi (e sopravvivere) in questo universo squallido e vitale, in mancanza di modelli più affidabili in carne e ossa, Rory Dawn si è scelta un vecchio manuale per girl scout, preso in prestito centinaia di volte dalla biblioteca della scuola. «Perché se ai campetti posso sentire tutto quello che serve su sesso, droga e rock ’n’ roll, il manuale delle girl scout è l’unico modo per imparare come fare la propria valigia, e partire». Anche se non ogni aspetto della sua esperienza può essere spiegato dal manuale delle scout. Per esempio i tasselli mancanti della sua storia famigliare (il padre sconosciuto, i fratelli lontani). O le visite notturne dell’«uomo degli attrezzi», che la viene a cercare quando la mamma è al lavoro, e quando lei deve andare al bagno insiste per aiutarla, e per aiutarla spegne le luci. O le piaghe sul corpo dopo le molestie subìte.

Ma la piccola Rory Dawn non è tipo da scoraggiarsi facilmente, forse perché ha fatto sua la lezione più importante del suo manuale di sopravvivenza: Ritrovare la strada quando ci si perde.

«Qualcuno di noi deve farcela» le ha detto una volta la nonna. «E questo qualcuno sei tu».

 

Il romanzo ha un andamento episodico che riflette l’esistenza frammentaria di Rory Dawn, si compone di capitoli brevi, talvolta brevissimi, vagamente collegati tra loro, frammenti conclusi che nell’insieme rivelano la vita della bambina, e della sua scombinata famiglia, illuminandola da diversi punti di vista: alla voce tenera e coraggiosa della piccola – che ci informa su quello che succede, o può succedere, nella Calle (per esempio, quanto ci mette a bruciare una roulotte?) – si alternano informazioni e brani di altro tipo: lettere della nonna, estratti dal fascicolo dei servizi sociali su Johanna Hendrix, pagine di diario, ritagli di giornale, temi di scuola, pagine bianche destinate alle annotazioni delle scout, interi paragrafi cancellati, corretti o soppressi. Un raffinato pastiche letterario che fa pensare allo sperimentalismo di Salvador Plascencia, uno degli autori citati dalla Hassman tra i suoi preferiti (anche se in Plascencia è presente una più spiccata tendenza alla metanarrazione).

Alcuni articoli e/o siti web hanno proposto altri accostamenti interessanti: sull’Huffington Post» Bambina mia è stato definito «a grown-up version of Matilde» di Roald Dahl (1988 – in Italia Salani nel 2006), e paragonato a Furore (1939), il capolavoro di Steinbeck sulla Grande Depressione degli anni Trenta. Su A Librarian’s Take (alibrarianstake.wordpress.com), si sottolineano in particolare gli aspetti più duri e disturbanti del romanzo e si citano Room dell’irlandese-canadese Emma Donoghue (ispirato al vero caso di Josef Fritzl) e lo scandalo degli abusi sessuali scoppiato nel 2011 alla Penn State University. Il «Library Journal» l’ha accostato invece a Lord of Misrule di Jaimy Gordon (L’ultimo giorno di gloria, Fazi). Mameve Medwed sul «Boston Globe» ha paragonato la toccante precocità della voce narrante di Rory Dawn a quella del Giovane Holden di Salinger.

 

A livello tematico, Bambina mia affronta un vasta gamma di argomenti difficili, sintetizzati così da Nancy Smith in un’intervista con Tupelo Hassman su The Rumpus: «poverty, class (and classism), sexual abuse, the presumed role of women, the presumed role of men, the idea that you are born into a certain kind of world». A questi temi la Hassman ne ha aggiunto un altro, evocato anche in altri articoli, che potremmo definire sommariamente lo «sradicamento o straniamento culturale». Una delle idee iniziali del libro, ha rivelato infatti l’autrice, era quello di raccontare qualcosa sulle persone che sono intrappolate nella loro cultura, o nel loro mondo di origine – e che non si sentiranno mai al loro posto anche se riuscissero a evadere dalla loro prigione personale.

Significativamente, il romanzo è dedicato dalla Hassman alle cugine – «che ancora vivono in un mondo che è come la Calle di Rory Dawn». Ma l’ambientazione, Reno, ha un valore che va oltre l’evidente legame con l’infanzia della scrittrice. È una metafora di un più vasto disagio sociale: «Reno is particularly representative of a wasted city […], it’s in a major decline». «Rory non sarebbe Rory senza Reno» ha dichiarato ancora la Hassman. «Se Rory Dawn fosse la Bella Addormentata allora Reno sarebbe la fata cattiva che la maledice» (ma che allo stesso tempo le fa un dono, perché «a nessuno interessa la Bella Addormentata senza la sua maledizione»…). In questo senso, potremmo definire Bambina mia una sorta di favola postmoderna, cupa e inquietante come molte delle versioni originali della favole classiche.